Lettera / È giunta l’ora? Ecco perché sto pensando di farmi scomunicare

di Fabio Battiston

Caro Valli,

questi primi giorni dopo la fine delle feste per la Natività e l’Epifania stanno segnando, per il sottoscritto, l’inizio di un momento di profonda riflessione rispetto al “che fare”, come imperfettissimo credente, nella tragica situazione in cui si dibatte la Chiesa temporale. Mi ero ripromesso di non tornare più sull’argomento, ma il rapidissimo involversi della situazione e il mostruoso avvicendarsi di questioni sempre più incredibili e tragiche mi impediscono di tacere e attendere passivamente gli eventi. Al tempo stesso, penso che mantenere il centro della discussione sul come restare o non restare in questa chiesa debba spostarsi su un versante diverso e, in termini di scelte, certamente più drammatico.

Gli accadimenti di queste ultime settimane infatti – nelle quali i famigerati impostori che ben conosciamo si sono distinti nello sporcare il Natale con la squallida vicenda delle benedizioni LGBTQIAXYZ – hanno con molta probabilità segnato un punto di non ritorno. Su questo tema abbiamo dovuto leggere gli spudorati articoli apologetici dei lacchè bergogliano-tuchoniani (sacerdoti, teologi ed intelletualioti) proposti sulle colonne di Avvenire e l’ossequioso nonché entusiastico tam-tam dell’intera comunicazione massmediale laica, tutta tesa nel rendere “storico” questo ulteriore e per loro positivissimo cambiamento nella chiesa. Il tutto affiancato dall’assordante silenzio che – con la naturale eccezione di Duc in altum, di altre meritorie testate e di poche, isolatissime voci urlanti nel deserto – ha contraddistinto il “popolo” cattolico, nelle sue gerarchie ecclesiastiche, nei suoi laici impegnati e, purtroppo, nella gran parte dei fedeli che con la loro approvazione, acquiescenza o silenzio stanno validamente contribuendo all’ingresso trionfale del demonio nella chiesa temporale. A proposito di questo popolo e del suo quasi totale appiattimento su qualunque atto, dichiarazione e documento prodotto dall’”Amministrazione Bergoglio”, mi è tornata in mente la figura del trinariciuto, il grottesco e quanto mai reale personaggio creato dalla fantasia, ma soprattutto dall’intelligenza di Giovannino Guareschi. Per chi non lo sapesse, il trinariciuto è il classico compagno comunista la cui vita dipende da un’unica verità: quella stabilita dagli articoli de L’Unità. E poco importa se, in funzione delle circostanze, tale verità venga tranquillamente modificata se non addirittura stravolta. Al grido di “contrordine compagni”, la massa ubbidiente si inchina alla nuova regola, senza fiatare, senza pensare, senza riflettere. Ed eccoli i trinariciuti bergogliani, sempre pronti a dire sì ed a trasformare ogni atto papale (e dei suoi immondi scagnozzi) in una dichiarazione ex cathedra. C’è poi l’atteggiamento di certo clero di fronte alle più che sacrosante richieste di chiarimento che i fedeli più avveduti propongono per trovare risposte ad una inquietudine sempre crescente. Anche in questo caso viene quasi naturale il paragone con la realtà dell’ideologia comunista. A riguardo, ho letto con grande interesse il contributo che il signor Marco Cattarini (qui) ci ha offerto su Duc in altum l’8 gennaio scorso. Egli descrive, ad un tempo con precisione e amarezza, le risposte che alcuni sacerdoti gli hanno dato in merito a sue riflessioni/domande sull’attuale crisi della chiesa. È il tenore di queste risposte che mi ha colpito; ecco le più significative: “Stai attento, ti credi il padrone della verità” (giustamente definita da Cattarini risposta ad hominem).

Ecco i perfetti che vengono a giudicare, ecco quelli che sanno tutto! Non devi mormorare né criticare il papa, devi metterti davanti a lui e pregare! (alla faccia dei diversi livelli di indiscutibilità/discutibilità ed importanza che hanno documenti, dichiarazioni ed atti delle gerarchie ecclesiastiche).

Devi stare in silenzio, perché le critiche provocano divisione tra i fedeli e trasmettono l’idea che ci siano due chiese (hai capito chi è il responsabile della divisione tra i fedeli?).

Queste proposizioni descrivono, in maniera quasi paradigmatica, lo stile e la sostanza con cui gran parte del clero “reagisce” (senza rispondere) a legittime richieste di chiarezza, ma sarebbe meglio dire di “luce”. Il tono è il medesimo con cui altri sacerdoti hanno risposto alle mie domande. Parlavo poco fa di un’ennesima similitudine con l’ideologia comunista. Infatti, esaminando con attenzione il senso delle risposte si potrà notare come in esse traspaia una tipica accusa che il regime comunista sovietico, alla luce della dottrina marxista-leninista, rivolgeva a compagni ritenuti erranti o portatori di istanze “poco ortodosse”: soggettivismo. Essa, in genere, costituiva l’anticamera alle torture prima e alla fucilazione o impiccagione poi.

Nel caso della crisi della Chiesa la situazione, ovviamente, non è del tutto sovrapponibile. Qui non si cerca una legittimazione “democratica” che consenta di proporre, discutere e confrontare posizioni diverse per poi arrivare ad una decisione più o meno condivisa e rispettosa di tutti. Parlare di “democrazia” nel cattolicesimo è praticamente un ossimoro; qualsiasi processo o evoluzione procede dall’alto in basso, mai al contrario. Il signor Cattarini, e come lui tante altre persone che vivono nell’angoscia della confusione e dell’incertezza, non vogliono presentare istanze da mettere ai voti. Non intendono partecipare a insulsi e anticattolici apparati sinodali che scimmiottano i sistemi democratici umani, offendendo alla radice l’insegnamento evangelico. Qui sono in gioco duemila anni di Tradizione, Scrittura e Magistero che si vogliono annientare, distruggere, disintegrare. Qui è in gioco la Parola di Dio. Tutto il resto è fuffa!

Come se tutto questo non bastasse, ecco l’ennesima pillola al cianuro con la rivelazione di un’altra prodezza letteraria del Tucho, alias don Rocco y Siffredi da Algira Cigena, con il suo supereccitante Pasión mistica. Su quest’ultima nefandezza apro e subito chiudo una parentesi per poi passare alla questione che più mi interessa. Il libro in oggetto e i suoi contenuti, paradossalmente, non costituiscono il problema più serio. L’esistenza del testo, a mio parere, rappresenta il dito che tutti ci affanniamo a osservare. La luna, invece, sta da un’altra parte. Sta nel fatto che, a distanza di settandaue ore dalla notizia (lanciata anticipatamente da un media argentino cui fa spesso riferimento, e giustamente, Duc in altum) non sia stato preso, preannunciato o semplicemente invocato all’interno della Santa Sede, un qualche tipo di provvedimento censorio nei confronti di questo demone travestito, nell’ordine, da prefetto del Dicastero per la dottrina della fede; presidente della Pontificia commissione biblica e della Commissione teologica internazionale. Dulcis in fundo anche arcivescovo emerito di La Plata. La luna, ancora, risiede nel fatto che il padrino di Santa Marta, così solerte nel pronunciare e attuare i suoi malefici ukase (vedi, tra gli altri, i casi Strickland e Burke) non trovi modo e maniera per dire uno straccio di qualcosa su questa vicenda e sul suo protagonista. Un protagonista da lui fortemente voluto e fatto assurgere ai più significativi livelli della gerarchia. Potremmo ripensare al nepotismo con il quale Alessandro VI soleva promuovere la gente del suo clan, ma ciò non servirebbe a disprezzare il gaucho di Santa Marta agli occhi dei più, anzi. Pare infatti che molti ed autorevoli studiosi cattolici considerino papa Borgia un grande pontefice.

Insomma il quadro è quanto mai fosco, quasi funereo, forse irreversibile. Tutto ciò mi sta progressivamente spingendo verso una decisione della quale avevo privatamente accennato alcuni giorni fa ad Aldo Maria Valli commentando la vicenda del parroco di Livorno, don Ramon Guidetti (sulla quale non intendo entrare nel merito specifico). Sto parlando di un pubblico atto, fatto dinanzi a uno o più sacerdoti o a un vescovo, con il quale disconoscere apertamente Jorge Bergoglio come papa manifestando al tempo stesso il mio totale rifiuto – da credente – di accettare con ubbidienza qualsiasi suo atto, dichiarazione o documento, fosse anche il contenuto di una prolusione ex-cathedra. L’obiettivo? Quello di ottenere automaticamente la scomunica da parte di questa congrega di eretico-criminali.

Io non sono un teologo, né un esperto di questioni giuridico-canoniche. Sono un semplice e peccaminoso cattolico, apostolico, romano. Non so nemmeno se questa sia la modalità “tecnicamente giusta” per raggiungere il mio scopo. So già invece che molti, tra sacerdoti e laici, sorrideranno ironici commentando questa possibilità (che oggi è per me molto più che un’ipotesi); la giudicheranno ingenua, infantile e contraddittoria, quasi un ossimoro. Alcuni, forse, si spingeranno a considerarla come la scelta di un folle (quanti “pazzi” popolavano i gulag staliniani). Per quanto mi riguarda non riesco a vedere soluzioni più efficaci e radicali, perché è di radicalità che oggi abbiamo un disperato bisogno. Perché dopo Bergoglio ne verranno altri, ancor più crudeli e satanici di lui, ed aumenteranno a dismisura le schiere di sacerdoti e laici a servizio di questa nuova, mostruosa dottrina secolare, relativista e neopagana. E, nel frattempo, la nostra vita terrena finirà; non voglio che essa termini con la loro paterna “benedizione”. Il distopico L’ultima battaglia di Valli è stato purtroppo, e più volte, incredibilmente sorpassato dalla realtà.

Per tutto questo e per molto altro ancora, mi sto convincendo sempre più che la strada per una concreta possibilità di Salvezza sia quella che passa per un luogo chiamato scomunica!

 

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